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ULISSE
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Questa è una storia vera, raccontatami da Pat, il vecchio amico di mio nonno, mentre lo riaccompagnavo a casa sua, dopo cena.

Gli avevo ricordato che oggi, 6 agosto 2006, ricorreva un avvenimento sconvolgente, la bomba atomica su Hiroshima, il 6 agosto 1945.

Annuì con la testa, e cominciò a parlare.

^^^

Già, 6 agosto!

Una data memorabile per me, per quello che accadde tanti anni fa, nel 1936, sono passati 25567 giorni da quel momento, li conto sempre, era passata la mezzanotte del 5, ma non era ancora giorno, quando accadde la "cosa".

La nostra era una famiglia strana, che risentiva fortemente di tradizioni ancestrali, primordiali, chissà se imbevute di una antidiluviana religiosità.

Era preminente la figura dell'uomo di casa, quello che per i Romani fu il 'pater familias' che aveva tutti i poteri, la potestas, sui beni e sulle persone che facevano parte della famiglia. L'uomo non poteva mancare in una casa, sarebbe stata una 'sede vacante', una nave senza nocchiero. Il trono non doveva restare vuoto, neppure per un momento. C'era un ordine preciso, nella successione di quella 'potestas'. Dominavano il clan e la legge salica.

Nel luglio di quell'anno, a motivo del suo lavoro, mio padre partì per un paese molto lontano da casa, a quasi cinquemila chilometri, con almeno dieci giorni di viaggio (non vi erano servizi aerei regolari) e doveva restarvi per moltissimi mesi.

La sera che il 'capo di casa' partì, mia madre, Miriam, disse che ora ero io 'l'uomo della casa' e che, quindi, avrei dormito nel letto grande, al posto di mio padre.

Mi guardava con molta serietà, ma notavo che nei suoi occhi vi era qualcosa di nuovo, come un senso di rispetto verso me. Ero il 'capo', a soli quindici anni!

Tutto sommato, considerata l'epoca, ero ancora molto bambino. Un po' cresciuto, ma pur sempre un bambino. Di una ingenuità ridicola ai tempi d'oggi, con una totale inesperienza di vita.

Al Lido guardavo le ragazze, con interesse, compiaciuto; ammiravo anche le prospere signore, come mia madre, ma la mia fantasia erotica era limitata, avevo timidamente sfiorato qualche mia coetanea. Niente di più. E quando certi fenomeni si mostravano, mi chiudevo nel bagno e... mi sfogavo!

Dormire nel lettone quasi mi infastidiva. Avrei potuto leggere come facevo nella mia cameretta? E perché mamma non faceva dormire Marco o Vera, che erano più piccoli di me? Glielo accennai appena, ma mi rispose, quasi meravigliata, che quello era il posto mio, del primogenito.

Un lungo e rassegnato sospiro. Cosa potevo fare di più.

Giornate abbastanza calde, e anche le notti. Io, di solito, dormivo solo con le mutandine che si usavano allora, aperte sul davanti. Le chiesi se potevo seguitare a conservare le mie abitudini.

"Tu, Pat, puoi fare quello che vuoi!"

Del resto, anche lei aveva caldo, e indossava, per la notte, una corta e trasparente camicia, molto scollata. Molto.

Mi piacevano le grosse tette di mamma, erano bellissime, e sorridevo pensando che da li avevo tratto il mio primo alimento.

Quella sera ero andato a letto presto, il mare mi aveva stancato, e mi addormentai subito. Mamma venne più tardi, dopo essersi assicurata che Marco e Vera erano nei loro letti.

Accese la luce sul comodino, si muoveva con molta cautela, per non svegliarmi, ma io la sentii lo stesso e aprii un occhio, senza muovermi.

Oddio, era nuda, e stava per infilare la camicia da notte. Prima, però, era andata dinanzi al grosso specchio, e si guardava con attenzione. Ora le sue tette erano del tutto scoperte, belle. Sode, alte, con scuri circoletti intorno ai capezzoli. Anche il sedere era florido, tondeggiante... si voltò... un foltissimo cespuglio di riccioli neri scendeva dal pube... Non avevo mai visto una cosa simile... Quello, dunque, era il sesso di mamma, e credo che da li io fossi nato, così dicevano i libri, ma non mi rendevo esattamente conto del come fosse fatto quel sesso. Le tavole anatomiche guardate nella biblioteca comunale per me non erano chiare.

Cercai di restare fermo, immobile, ma il pipillo sgusciò fuori dai pantaloncini.

Mi girai su un fianco, volgendo le spalle al posto dove mamma, dopo aver indossato la camicia, stava sdraiandosi, e ci volle molto, moltissimo, per addormentarmi.

La visione di quella nudità mi turbò profondamente. Ero passato dal disegno, dalle sbiadite fotografie porno alla realtà. Quelle forme, quel cespuglio di seta, che mi sembrava palpitare, accendevano un interesse, più che una curiosità, che non sapevo come soddisfare. Volevo sapere, vedere... toccare! Ma come, quando, dove? Inoltre, era naturale quella eccitazione improvvisa?

Ed anche se fosse naturale, possibile che la mia mente, il mio cervello non avessero considerato che quella femmina era mia madre? Una donna, sì, certamente, molto bella e ancor giovane a 36 anni portati benissimo, ma una donna che vedevo da sempre, da quando ero nato?

Dormii poco e male.

L'indomani, ancora confuso per quanto era accaduto, ero pensoso mentre facevo colazione, mi preparavo per andare al Lido, con Mamma, Marco e Vera. Rosetta, la donna di servizio, era già venuta. Avrebbe pensato a tutto lei. La spiaggia era poco lontana, eravamo in via Dalmazia angolo via Foscari, a due passi dal mare.

Nell'uscire da casa, passandomi davanti, il sedere di mamma mi sfiorò. Chissà quante volte era accaduto, ma quella volta sentii come una scarica elettrica. Mi sembrava anche che il suo seno fosse più rigoglioso del solito.

Mamma si accorse del mio essere meditabondo, e mi chiese se mi sentissi bene. La rassicurai. Mi fece una carezza e mi abbracciò, forte. Ero alto quanto lei, allora. Oddio, com'era bello sentire le sue tette sul mio petto. Era magnifico. E pipillo si agitò.

Come al solito, andammo nel capanno, lei tolse la vestaglia che indossava sul costume da bagno. Anche io, Marco e Vera avevamo i costumi sotto i vestiti.

Mamma andò a sedere sulla sdraia che era sotto l'ombrellone preparato da Nane, il bagnino. Io la seguii e sedetti su quella di fronte.

La guardai attentamente. Mi sembrava che il costume fosse scollato più del dovuto, si vedeva abbastanza, troppo. Poi, con lo sguardo frugai tra le sue gambe che erano un po' divaricate. Ma tutto quel pelo, dove era andato a finire? E quel rigonfiamento, era la massa dei riccioli che aveva raccolto e compresso? O cosa?

"Pat, cosa c'è che non va?"

La sua voce mi fece sobbalzare.

"Niente, ma'...niente'.."

"Allora, perché mi guardi in quel modo e scuoti la testa?"

"Niente... forse mi sbaglio, ma credo che questo costume sia molto scollato... Forse è la mia impressione, sbaglio... possono vederti tutti..."

Mi sorrise con tenerezza infinita.

Allungò la mano e la pose sul mio ginocchio.

"Varda el paròn de fameja, xelo anca geloso... vien qua putìn, dà un baso a tòa mama!"

Mi alzai e mi avvicinai a lei, mi chinai per baciarla sulla guancia. Mi mise la mano sulla nuca e fu lei a baciarmi, ma persi l'equilibrio e poggiai la mano sulla sua tetta calda e soda...

Mi carezzò il volto.

"Ma si, benedeto, xe tòa.... Va, caro, va a comprar un gelato, anche per me e per i tòi frateli... I soliti".

Mi dette i soldi e mi avviai verso il bar.

Tornando, notai sdraiata per terra la siora Letizia, l'amica della mamma. Prendeva il sole, gambe e braccia spalancate. Mi fermai di colpo. E sì, perdio, era proprio così. Si vedevano chiaramente dei peli neri uscire dal costume della siora Letizia, tra le gambe...

Mangiai distrattamente il gelato.

Girai per la spiaggia, spiando tutte le donne: tette e.... tra le cosce.

Si, le tette di mamma erano le più belle, e lei era più ordinata delle altre. Non erano pochi i peli che, tra le gambe, sfuggivano dai costumi femminili.

Pipillo era penosamente contenuto nel costume. Dovevo tornare a sedermi, era troppo evidente la cosa.

Quella mattina non volevo fare il bagno.

"Certo, Pat, che sei un po' strano. Ma se sei tanto geloso della tua mammina non dovresti lasciarla andare sola in acqua...."

In affetti aveva ragione. Mi alzai e andammo insieme in acqua.

Appena si immerse, l'acqua le incollò addosso il costume. Si vedevano i capezzoli... si indovinavano i riccioli tra le sue gambe. E pipillo reagì immediatamente, malgrado l'effetto dell'acqua fredda.

Mi stava travolgendo una vera e propria fissazione. Dovevo cercare di liberarmene, a qualsiasi costo

Per qualche sera accusai sempre sonno e stanchezza per andare a letto per primo e... far finta di dormire.

Ogni tanto si ripeteva la cerimonia del guardarsi allo specchio.

Per me un vero e proprio tormento.

Quella sera fui assalito da un vero e proprio tremito, che non potei nascondere.

Mamma se ne accorse, non curò neppure di mettere indosso qualcosa, così com'era, venne dalla parte mia, si chinò su me, mi carezzò.

"Pat? Stai bene?"

Feci finta di destarmi, di soprassalto.

Le tette erano a un palmo dal mio volto, lo spettacolo del suo sesso, questa volta preciso nei dettagli ancorché seminascosto dai riccioli, quasi all'altezza dei miei occhi spalancati.

Mamma mi carezzò ancora.

"Stai bene?"

Mi misi seduto sul letto.

"Si, credo... sto bene... non so..."

"Spetta che ti do' un bicchiere d'acqua."

Andò al suo comodino dov'era l'acqua, me ne portò un bicchiere, me lo porse, mi passò un braccio sulle spalle... La sua tetta mi sfiorava il volto...

"Bevi, putìn, bevi..."

Solo allora si accorse di essere nuda.

"Spetta tesoro... spetta..."

Corse a indossare la vestaglia. Tornò vicino a me. Prese il bicchiere dalle mie mani.

"Cosa stavi facendo? Un brutto sogno?"

Mi toccò la fronte, la schiena, il petto.

"Sei un po' caldo... non è che hai la febbre?"

"No, mamma, no... sto bene... non so cosa mi sia capitato..."

"Spetta che la mamma viene a letto, ti abbraccia..."

Andò dalla sua parte, tolse la vestaglia, indossò la sua trasparente e ridotta camicia da notte, si infilò sotto il lenzuolo, mi tirò a sé, mi abbracciò, stretto.

Una tetta era fuori della camicia, accanto al mio volto, alla mia bocca.

Mi avvicinai di più, di fianco, con la testa quasi sulla sua tetta. Allungai l'altra mano... sull'altra tetta... La mia gamba sinistra sulla sua coscia... il ginocchio percepì chiaramente la cresposità del suo cespuglio, il calore... e la forma del suo sesso.

Feci finta di addormentarmi. Lei spense la luce e seguitò a tenermi abbracciato.

Dopo un po' sentii il suo respiro farsi pesante. Lambii appena la tetta, con la lingua... strinsi delicatamente l'altra... Non si mosse.

Premetti anche col ginocchio, lo mossi, su e giù.

Dunque, quelle erano le famose 'grandi labbra'. Ma come erano, in effetti? E le piccole?

Pipillo era prepotentemente sgusciato fuori dai pantaloncini... toccava la carne viva e calda, vellutata. Fui percorso da un brivido.

Avvicinai di più il volto alla tetta, tirai fuori la lingua... Ecco, la pelle cambiava, era un po' rugosa, no, era quasi come la pelle d'oca... ah... questo doveva essere il capezzolo... che carino, e come si gonfia... Ancora un piccolo movimento, e il capezzolo fu tra le mie labbra... mi sembrò che un ricordo lontanissimo riaffiorasse alla mente, cominciai a succhiare piano, lentamente... Dovevo controllarmi, però, perché mi accorsi che il mio corpo si muoveva, si strisciava a lei... Devo fermarmi...

La sinistra scese dalla tetta, sfiorò l'ombelico... la camicia di mamma era sollevata quasi del tutto... non riuscii a fermarla, quella mano... tolsi cautamente il ginocchio da quel meraviglio cespuglio e vi posi la mano. Ma non l'avevo poggiata completamente, nel palmo sentivo la cresposità serica dei ricci, ebbi la sensazione che quasi si muovessero, come avessero vita propria...

Sempre seguitando a succhiare la tetta, la mano volle sapere di più, le mie dita si mossero...

Cominciavo a comprendere perché si chiamassero 'grandi labbra', erano tumide, carnose, morbide... proprio come le labbra della bocca.... Le carezzavo col dito... finii col cercare di infilare quel dito tra esse... la lingua, intanto, lambiva il capezzolo e sentivo che le sarebbe piaciuto essere al posto del dito...

Cedevano, le grandi labbra. Dentro era tepore umido... sempre più umido... queste, certamente erano le 'piccole labbra'. Così tenere, delicate, con una pelle più liscia e morbida di quella della pesca... non opponevano resistenza... sentii un vuoto tra esse, spinsi ancora, mi sembrava introdurre un dito in bocca, lo stesso bagnato, ma un maggior calore...

Pipillo mi tormentava....

Sentii il braccio di mamma, quello che mi abbracciava, stringermi di più a lei...

Non potevo farne a meno, dovevo liberarmi dalle mutandine.

Tolsi la mano da quel meraviglioso tepore e riuscii rapidamente a far scivolare i pantaloncini nel letto. Rimisi la mano come prima.

Ebbi la netta sensazione che le gambe di mamma si fossero alquanto dischiuse, che tra le sue gambe era distillato qualcosa di appicicaticcio...

Ora, pipillo si strofinava sfacciatamente a lei... Io mi muovevo...

Ero scomodo...

E pensare che lì c'era quel meraviglioso splendore del seno della mamma. Del suo ventre caldo, sul quale avrei potuto facilmente sdraiarmi...

Alzai ancor più il ginocchio, quasi mi distesi su lei...

Il suo abbraccio accompagnava i miei movimenti, li agevolava.

Quella camicia, arrotolata malamente, era solo un impiccio.

Mi sollevai un po' sulle ginocchia. Oramai le avevo poste a destra e sinistra di lei, e la tirai ancora più su... sentii che lei aveva alzato la schiena e questo mi aveva consentito di sfilarla completamente, dalla testa.

Fu naturale poggiarmi completamente su lei.

Sentivo il turgore delle tette, mi chinai a baciarle, a succhiarle.

Dovevo cambiare nuovamente posizione.

Misi un ginocchio tra le sue gambe, che si allargarono un po'... poi l'altro ginocchio. E le gambe continuarono a divaricarsi... Mi poggiai del tutto. Ero al caldo, stavo benissimo.

Ma come faceva, mamma, a non svegliarsi?

Alzai la testa, le guardai il volto, era bellissima, con un'espressione di beatitudine.

Nel riabbassarmi sentii che pipillo, che prima era tra la sua e la mia pancia, ora s'era come incastrato tra le grandi labbra, e mi dava fastidio. Mi sollevai di nuovo sulle ginocchia, lo presi per il glande e.... le gambe di mamma erano sempre più aperte, il suo bacino si sollevò, il glande era proprio tra le piccole labbra, all'ingresso di quella bocca umida e calda che il mio dito aveva perlustrato. Ed era scivolosa...

Ancora un inarcarsi del bacino di mamma, una naturale e istintiva lieve spinta di pipillo, sentii che il glande era accolto in quella deliziosa bocca, ed ebbi la sensazione che ciucciasse, quella bocca...

Volli ancora succhiarle un capezzolo, ci riuscii e nel contempo quasi caddi su mamma. Pipillo scivolò dolcemente in lei, tutto, fino in fondo, risucchiato dalle contrazioni di quel luogo incantato e incantevole...

Solo allora mi resi conto che il mio pipillo era entrato nel sesso di mamma.

"Ostrega, sior Dio, ma mi sto ciavando la mamma!"

Troppo tardi.

Avevo perduto ogni controllo, ogni ritegno, stavo pompando freneticamente, ardentemente, pur con l'inesperienza e la insicurezza della prima volta.

Era bellissimo, straordinariamente bello, eccezionale, inimmaginabile.

Incredibilmente, mentre mi attendevo di essere scacciato violentemente dalla mamma, di essere investito chissà da quali epiteti, sentii che lei mi aveva abbracciato, stava corrispondendo ai miei movimenti spontanei ma disordinati, con un progressivo ondulare del corpo, del bacino, e l'intensificarsi delle contrazione del suo grembo.

Sentivo che gemeva, sempre più forte...

Intrecciò le gambe sulla mia schiena, sobbalzò impetuosamente....

"Ahhhhhhhhh Pat.... Pat... putìn de la mamma.... Ahhhhhhhhh!"

E fu sconvolta, travolta, da sensazioni e manifestazioni che non conoscevo, che non immaginavo, non prevedevo...

Mi strinse la testa mi baciò voracemente sulla bocca, infilando la sua lingua nella mia, attorcigliandola alla mia lingua...

Proprio nel momento in cui sembrava placarsi, provai un violento stimolo nelle reni, nei testicoli, e con forza impetuosa, irruppe dal mio sesso come una colata di lava incandescente che la invase, e la sentii fremere, stringersi freneticamente a me, mungere golosamente, avidamente, il mio sesso col caldo fremente della sua vagina.

"Ohhhhhhhhhh, Pat.... Mi fai morire...."

Scosse la testa, dolcemente, col volto in estasi, gli occhi chiusi, un sorriso paradisiaco sulle labbra...

"Anzi no, bambino mio, mi fai vivere... e forse farai vivere in me una nuova vita.."

Scosse ancora la testa.

"Ma chi se ne frega, era troppo bello, sei troppo bello..."

Mi prese le mani, aprì gli occhi, mi guardò...

"Lo volevi proprio, vero?"

Annuii, non avevo la forza per parlare.

"El paròn de casa! El mio putìn!"

E mi baciò ancora. Mi carezzò il volto.

" Me despiàse, tesoro, ma la mamma deve andar al bagno."

Non volevo staccarmi da lei, ma dovetti farlo, anche se controvoglia.

Mi sdraiai sul letto, dalla parte dove ero solito dormire. Ero supino. Pipillo era tutto impiastricciato, ma non del tutto quieto.

Mamma si alzò agilmente e, così, nuda come era, con una mano tra le gambe, certo per non lasciar colare le nostre abbondanti secrezioni, corse nel bagno, sentii scorrere l'acqua. Tornò poco dopo, pimpante, allegra, con un asciugamano. Si inginocchiò dalla mia parte e mi asciugò bene, il pube, i peli, il pipillo che, intanto, s'era di nuovo rinvigorito, specie al suo tocco.

"Com'è bello!"

Lo baciò appassionatamente.

Gettò l'asciugamano per terra, salì sul letto, si mise a cavalcioni. Le gambe ben aperte. Afferrò pipillo e lo portò all'ingresso della sua caldissima e vibrante vagina. Mi guardò quasi con un'espressione di sfida. Come se volesse dire 'ora ti faccio vedere io'. Si abbassò lentamente, molto lentamente, e si impalò sulla mia eccitatissima verga, che non smetteva di sognare.

Fece un profondissimo respiro. Gettò indietro la testa, e cominciò una calma cavalcata che mi stava facendo impazzire. Si fermava, contraeva il grembo, mi succhiava in lei, e riprendeva. Ora stava trottando, sempre più velocemente, poi passò al galoppo, sfrenato, con un lungo gemito che le sortiva dalle labbra socchiuse, credevo che me lo volesse svellere, conservare in lei....

Fu scossa da un orgasmo ancora più impetuoso del precedente, si fermò solo per un attimo, ero sempre vivo e gagliardo in lei, riprese con maggior frenesia, ebbe un ancora più irrefrenabile orgasmo, e mentre di nuovo la invadevo col mio seme, si gettò su me, esausta, sfinita.

Con voce affannata, il grembo palpitante, mi guardò, sudata, disfatta.

"Eh si, tesoro mio, credo che tu proprio l'hai riempita bene la tua mamma... chissà cosa farò..."

Allora non compresi le sue parole.

Ci amammo ancora, prima di alzarci, di adempiere alle pulizie del mattino, fare colazione.

Dovevamo andare a Messa, come tutte le domeniche. Tutti insieme.

Sedemmo al solito banco. Mamma in mezzo, io alla sua destra, Vera e Marco a sinistra.

Domenica, 6 agosto, festa della Trasfigurazione.

Il sacerdote stava leggendo il Vangelo.

Ad un tratto mamma mi prese la mano, me la strinse forte e mi guardò significativamente.

Il sacerdote in quel momento stava dicendo: Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto!

Mamma mi guardò e sorrise, annuendo.

La mia vita, grazie a lei, fu un vero e proprio paradiso, fin quando un destino crudele non ce la strappo' improvvisamente, sei mesi dopo.

Non ho mai avuto una donna che sapesse amarmi e rendermi felice come lei, mai! Perché ci amammo, follemente, ininterrottamente.

E non mi aveva mai detto del suo tormento quando si accorse di essere incinta. Inventò una scusa, andò a Padova, tornò dopo tre giorni, e mi disse che non stava bene, dovevo... aspettare ancora una settimana....

ULISSE
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