La Vita Che Mi Hai Dato

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S'era avvicinata al ragazzo, gli aveva preso una mano e se l'era infilata sotto la gonna, nelle mutandine.

"Senti Aldo, é il solco, senti com'é pronto, tiepido, palpitante, come ti attende, com'é assetato di te, senti..."

Con l'altra mano gli aveva abbassato la chiusura dei pantaloni, aveva afferrato...

"No, Marietta, no. Sei bellissima, meravigliosa, desiderabile, ma non provo per te ciò che solo potrebbe giustificare un atto così importante."

Si alzò di scatto, chiuse la lampo, uscì correndo dal vecchio sgabuzzino.

L'indomani partì per l'Inghilterra.

* * *

Sul tabellone era apparso: Volo AZ 279 da Londra, atterrato.

Erano le dieci d'una tiepida sera di metà settembre.

Aldo fu il primo ad apparire all'aprirsi della porta automatica.

Le sembrò più alto e più atletico di quando era partito. Veramente un bel ragazzo, suo figlio. Aveva un'espressione pensosa, sul volto, ma appena scorse la madre s'illuminò d'un sorriso radioso. Le corse incontro, l'abbracciò stretta, la baciò forte sul collo, e così, serrandola fino a toglierle il respiro, le disse la sua felicità nel rivederla, la sua gratitudine per averla trovata all'aeroporto. In tal modo aveva potuto riabbracciarla subito. La cosa che più gli era mancata durante la sua assenza: l'abbraccio della mamma.

Non era mai stato così espansivo, Aldo, non le aveva mai dimostrato tanto affetto, e con tale trasporto.

Eva lo strinse a sé, gli carezzò la testa, poi cercò di staccarsi da quel suo bambinone.

"Anche tu mi sei mancato, Aldo. Il mio primo bambino, adesso così grande, che vorrei tenere sempre vicino a me. Sono una mamma egoista, sai? Quasi vorrei che non fossi cresciuto, per cullarti ancora".

Le cinse la vita e si avviarono a ritirare il bagaglio.

"Papà e Mario sono fuori. C'é un convegno a Tunisi e papà voleva che io e Mario andassimo con lui. V'é andato solo Mario."

"Tu perché non sei andata?"

"Per riabbracciare te al più presto, tesoro mio".

E lo baciò sulla guancia.

Ritirata la grossa sacca dalla "giostra", Aldo le chiese:

"Dove hai parcheggiato, mamma?"

La prese per mano e si diresse verso l'uscita.

"Sono venuta in taxi, Aldo, sai che non amo troppo guidare".

Andarono verso la gialla auto capofila, misero la sacca nel vano portabagagli, salirono, dettero l'indirizzo all'autista.

Aldo sedette vicinissimo a Eva, le prendeva la mano, le baciava le dita.

La madre sorrise, come se parlasse a sé stessa, disse:

"I figli sono sempre cuccioloni... specie quando tornano da una lunga assenza... ma é bello che siano così... li sentiamo più nostri... sentiamo di averli ancora con noi e per noi..."

L'uomo alla guida assentì col capo e filò sull'autostrada, verso la città che s'avvicinava rapidamente.

* * *

Era buio fondo.

Franceschina aveva apparecchiato sul terrazzo del soggiorno, da dove due gradini conducevano in giardino. Salutò Aldo calorosamente.

"Signora" -disse- "devo fare gli spaghetti? l'acqua é a bollore".

"Aldo" -chiese Eva, al ragazzo che stava avviandosi a depositare la sacca nella sua camera- "...dopo tanta Inghilterra?"

"No, mamma, meglio di no questa sera".

La raggiunse vicino alla tavola.

Eva proseguì:

"C'é del roast-beef, insalata, il dolce che piace a te e, se vuoi, date le cose che avrai certo bevuto nelle scorse settimane, dell'ottimo vino. Non lega col roast-beef ma é il tuo preferito, lo Chardonnay, va bene?"

"Benissimo, mamma, é proprio quello che ci vuole, e tu brinderai con me".

"Franceschina" -seguitò Eva- "porta in tavola la carne, metti sul carrello l'insalata, il dolce e la frutta, la caraffa dell'acqua, nel secchiello col ghiaccio il vino, e va pure a riposare, sarai ben stanca. Io vado a cambiarmi. Scenderò fra poco".

Entrò in casa.

Aldo andò nella sua camera e presto tornò, rinfrescato, indossando uno short grigio e una polo azzurra. Si avvicinò al carrello, prese la bottiglia di vino, la liberò della carta dorata che avvolgeva il collo, cominciò a girare lentamente il cavatappi, ne abbassò le leve, annusò il turacciolo appena tolto.

Anche Eva era riapparsa, in una leggera vestaglia celeste. I capelli rossi, sciolti, le cadevano, morbidi e ondulati sulle spalle rotonde e sul seno sempre stupendo.

"Sembra che abbiamo scelto più o meno gli stessi colori".

"Si mamma, però il celeste é per i maschietti, tu dovevi indossare qualcosa di rosa".

"Forse hai ragione, Aldo, ma preferisco il rosa nella biancheria intima. Il colore dei capelli, del resto, s'intona meglio col celeste. Veramente non sta bene cenare in vestaglia, ma tu mi scusi, vero?"

"Scusarti? Ma sei bellissima. E poi, non vedi la mia tenuta?"

Aldo, intanto, aveva riempito due calici di vino e si era avvicinato alla madre porgendogliene uno. Alzò il suo:

"Ben trovata, mamma, sono felice di essere di nuovo qui. Con te".

"Ben tornato Aldo, non ero mai stata tanto tempo lontana dal mio tesoro".

Portò il bicchiere alle labbra, e bevve tutto d'un fiato.

Aldo assaggiò appena il vino. Non ne beveva da molto e temeva che potesse stordirlo.

"Mamma, invece di stare di fronte, lontani, posso sedermi vicino a te?"

"Certo, tesoro, che domande fai. Sta vicino a me. Vuoi della carne?"

"Una sola fettina. Attendo il dolce!"

Eva era assetata, il figlio le riempiva il bicchiere e lei lo vuotava subito, il vino, fresco, scendeva deliziosamente nella gola. Ci volle presto un'altra bottiglia.

"Questo dolce é meraviglioso, mamma. Lo hai fatto tu, vero?"

"Si, piccolo, so che ti piace e l'ho preparato per te. Io ne prenderò solo un pezzetto. Forse ho bevuto un po' troppo, ma avevo caldo e anche sete. Ora la sete é diminuita ma il caldo é aumentato."

Fece un profondo sospiro che le gonfiò il petto e aprì un po' la vestaglia.

"Mamma, però un goccetto di champagne, per brindare al ritorno del figlio, non puoi rifiutarlo:"

"Solo un goccio".

Rispose Eva.

"Vado a prenderlo nel frigo, e porto i calici."

Entrò in casa.

Nel tornare, si fermò un momento nel soggiorno, per scegliere un disco. Uscì, posò i calici sulla tavola, aprì la bottiglia, riempì i bicchieri, senza ascoltare la mamma che gli raccomandava di versarne poco. Tornò nel soggiorno e mise in moto il giradischi. Poi uscì e dette un calice a Eva.

"Mamma, la tua canzone, magic moments, adesso il brindisi e poi un balletto. Evviva la mamma!"

E alzò il calice. Eva rispose che l'evviva era per il suo piccolo grande bambino, tornato a casa, e vuotò la coppa.

Aldo le prese la mano, l'aiutò ad alzarsi, le passò il braccio intorno alla vita, per ballare.

"Aldo, sono un po' brilla. Tu devi ballare con le ragazze, non con la tua vecchia mamma che non regge neanche una coppa di champagne."

Ma stava ballando col figlio. Muoveva le gambe un po' pesantemente, quasi meccanicamente, ed aveva abbandonato la testa sulla spalla di lui.

Aldo la baciò sulla guancia. Lei, d'improvviso, voltò il viso per guardarlo, e il bacio scivolò sulle labbra. Bruciavano.

"Aldo, vado a letto, chiudi le porte finestra, al resto penserà Franceschina, domani."

"Ti accompagno, mamma, ti aiuto a salire le scale."

"Credi che sia veramente ubriaca? Sto benissimo, guarda."

E fece per scostarsi da lui, ma sarebbe caduta se Aldo non l'avesse sorretta.

Aldo si fece porre un braccio intorno al collo e tentò inutilmente di farle salire i due gradini che portavano in casa. La sollevò delicatamente sulle braccia e la portò nella camera da letto.

"No, non accendere la luce grande, mi da fastidio. Basta quella del comodino. Ma adesso non preoccuparti, tesoro, una doccia fredda metterà a posto tutto. Grazie, va pure a letto, che devi essere stanco."

"Mamma, la doccia fredda dopo cena fa male. Se proprio la devi fare, che sia ben tiepida. Comunque aspetterò qui, fino a quando non sarò certo che tutto va bene. Vorrei stare sempre vicino a te, mamma, con te. Ti ricordi quando mi tenevi nelle tue braccia, mi sentivo sicuro, non avevo paura di nulla, non facevo brutti sogni. Hai ragione, anch'io vorrei non essere cresciuto, essere ancora il bambino che poteva dormire nel letto della sua mamma, abbracciato alla sua mamma. Mi piacerebbe tanto poterlo fare ancora."

Eva s'era seduta sul bordo del letto.

"Aspetta qui, mamma, non muoverti, vado a chiudere giù e torno subito."

Mancò pochi istanti.

"Va bene, tesoro, farò una doccia tiepida. Resta pure, caro, per me sei sempre e solo il mio piccolo."

Tentò di alzarsi, ma Aldo dovette aiutarla. Lasciò cadere la vestaglia sul tappeto, restando con un trasparente reggiseno e minuscole mutandine. Entrò barcollando nella stanza da bagno, senza chiudere la porta.

Si udì qualche rumore, poi lo scroscio della doccia.

Aldo temeva che la madre non si sentisse bene. Andò nel bagno. Attraverso il vetro opaco della cabina vide che faceva scorrere l'acqua sul volto, le braccia alzate. Ferma, immobile. S'intravedevano il ventre piatto, il seno, i capezzoli rivolti verso il cielo, a ricevere il getto al quale chiedevano ristoro. La lieve smerigliatura attenuava i colori, non li cancellava, li rendeva leggermente opalescenti, come avvolti da un alone. Il bianco lattiginoso della pelle, il rosa sbiadito dei capezzoli, un triangolo scuro tra le gambe.

Si avvicinò al vetro:

"Mamma..."

Ripetè più forte:

"Mamma... tutto bene?"

"Si... grazie".

Andò rapidamente nella sua camera, indossò un pigiama e tornò dalla madre.

"Aldo" -disse Eva, dal bagno- "non è servito a niente, sento che la sbronza peggiora. Sto cadendo per il sonno."

Rientrò in camera, malamente avvolta nel telo di spugna, e sedette sulla sponda del letto.

"Per favore, Aldo, prendimi una camicia da notte in quel cassetto... il terzo a sinistra... si.. quello."

Aldo aprì il cassetto.

"Quella rosa, mamma?"

"Si va bene."

La camicia, di seta leggera, era corta e vaporosa.

Si avvicinò alla madre.

"Aiutami, Aldo, da sola non sono capace..."

"Alza le braccia, mamma."

Eva eseguì come un automa. Lui le fece infilare la camicia dalla testa, l'aiutò a passare le braccia tra le spalline bordate di merletto. Lei s'alzò in piedi, con gli occhi chiusi. Il lenzuolino scivolò a terra. Eva restò con le braccia in alto, un'espressione imbambolata sul volto, il seno eretto, i capezzoli turgidi, il ventre scoperto, le gambe ancora bagnate.

Aldo le passò l'asciugamano sul ventre, sui fianchi, sulle gambe, tra le gambe. Lei, in piedi, lasciava fare, senza dire nulla. Poi si gettò di peso sul letto, di traverso, con le gambe in fuori e i piedi sul tappeto, la camiciola che la copriva solo fino alla cintola, arrotolata sotto la schiena. Aldo le tirò su le gambe, le pose la testa sul cuscino, le aggiustò la camicia, la coprì col lenzuolo. La guardò a lungo. Era bella la sua mamma nuda, e l'aveva asciugata, delicatamente, dopo il bagno, come chissà quante volte lei aveva fatto con lui. Aveva toccato quel corpo splendido, tante volte carezzato nei suoi sogni, ma tanto più bello di come l'aveva immaginato e sognato.

Eva era rimasta supina, cogli occhi chiusi. Sussurrò piano:

"Grazie, Eu..."

E s'addormentò.

Aldo non l'udì, allungò la mano, spense la luce del comodino.

Dalla finestra filtrava il chiarore dei lampioni. Girò intorno al letto, vi salì, cercando di non far rumore e di non farlo muovere, anche se Eva non se ne sarebbe accorta. Si sdraiò vicino alla madre, si girò su un fianco e tirò verso di sé il braccio sinistro della donna, per farsi abbracciare. Le si accostò, le poggiò la testa sulla spalla. La sua guancia sentì il seno, attraverso la sottile camicia, e gli sembrò di percepire il battito del cuore.

Scostò la stoffa, con la massima cautela, e con le labbra, piano, sfiorò la pelle tiepida e liscia, vivendo un ricordo lontano e mai cancellato. Premeva sul fianco della donna, il suo ginocchio era sulla coscia di lei. Ne sentiva il calore. Aveva la testa in fiamme, deglutiva continuamente, con le labbra secche. La lingua cercò golosamente il capezzolo. Avrebbe voluto succhiarlo con avidità, si limitò a lambirlo, a lungo. Era turgido, meraviglioso, delizioso. Si accorse che si stringeva sempre più contro il fianco di Eva, col sesso prepotentemente eretto, fuori dai pantaloni. La mano scese lungo il corpo della donna, le sfiorò il pube, vi si poggiò sopra, leggermente. Lei, immobile, respirava profondamente. Cominciò a sfiorare quella seta incantevole. Lievemente. Poi sempre più insistentemente. Sentì le gambe di lei che si dischiudevano appena. Frugò con le dita, entrò nel solco morbido racchiuso tra due labbra turgide come i capezzoli. Incontrò, in alto, un piccolo rilievo che fremette alla carezza. Le gambe si disserrarono ancora. Le dita di Aldo andavano dal rilievo verso il basso, sostavano indiscrete intrufolandosi appena tra le piccole labbra frementi, tornavano indietro, riprendevano il loro titillare, si fermavano ancora, frugavano sempre più profondamente, tornavano a carezzare. Dalla bocca di Eva sfuggiva un gemito appena udibile. Il bacino iniziò a sussultare, dapprima impercettibilmente, poi più forte, fino a divenire onda possente, irrefrenabile. Aldo non riusciva a fermarsi. Il gemito aumentò, quel muoversi divenne frenetico. Ad un tratto Aldo sentì afferrarsi il sesso. Eva, come in trance, si girò di colpo, gli fu sopra, portò la punta di quel palpitante fallo tra le sue gambe, nel suo solco, nel suo serico giardino delle delizie. Un sapiente colpo di reni, e lo accolse in sè.

Di colpo tolse la camicia e la gettò in terra.

Sembrava in preda a convulsioni. Dalla bocca uscivano suoni senza senso, sempre più rochi e profondi, in un crescendo ossessionante. Si muoveva, si agitava, senza posa. La testa alta, gli occhi chiusi, il seno squassato da quella cavalcata selvaggia, le labbra dischiuse. Una corsa che sembrava non dover finire mai. Poi, di colpo, gli s'abbandonò sul petto, ansante, stringendolo forte, strizzandolo, suggendo il nettare inebriante che la irrorava, l'essenza di vita che le stillava dentro. Con la bocca cercò le labbra di lui, lo morse fino a fargli male. Le nari dilatate, frementi.

Si rovesciò supina, con le gambe dischiuse, passandosi la lingua sulle labbra.

Si voltò verso Aldo, senza aprire gli occhi, respirando pesantemente.

"E' stato bellissimo... tenerissimo... dolcissimo... voluttuoso come non era stato mai. Sei meraviglioso, Eugenio."

Gli afferrò il sesso, a confermare il suo diritto di possesso, assoluto, e, sempre così, tornò nel suo sonno profondo, catalettico, mentre il respiro s'andava pian piano quietando.

Aldo era sconvolto.

...Voluttuoso come non era stato mai! ...Eugenio!...

Scivolare fuori dal grembo della madre era stato nascere una seconda volta.

Si, era stato come non mai.

Come poteva e doveva essere quando l'amore, quello più grande del mondo, insuperabile, l'unico vero che potesse mai esistere, raggiungeva la completa, reciproca, totale donazione.

L'amore tra i due soli esseri che si conoscevano fin dal concepimento, che erano stati uniti fin dal loro primo meraviglioso conoscersi.

"Mamma, solo tra noi poteva essere così:"

Le gridò, tra le lacrime.

Scese dal letto che avrebbe voluto distruggere, perché nessun altro maschio potesse più salirvi.

Eva dormiva. Beata.

ULISSE
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