La Chioma Di Berenice

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Berenice tresses, a noun a love.
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Sui volti delle persone si leggeva stanchezza, paura, fame. Guance incavate, occhi rossi, barbe lunghe, fanciulli col moccio, donne ancor giovani, una volta floride, con abiti troppo larghi, nei quali s'indovinavano seni flaccidi, glutei cascanti. Una lunga teoria di gente malvestita, che s'illudeva di trovare la conclusione delle proprie sventure lasciando la città divenuta un cumulo di macerie. Non v'era casa che non avesse subito l'oltraggio delle bombe nemiche. I negozi, quei pochi non ancora distrutti, erano vuoti. Il cibo mancava, arrivava saltuariamente, finiva prima di contentare tutti.

Tornare al paese. Lì. Almeno, c'é da mangiare. Era come raggiungere l'Eldorado. Non tutti vi sarebbero arrivati, e molti vi avrebbero trovato morte e distruzione.

Ogni tanto riusciva a partire un treno. Stracarico di coloro che erano riusciti a salirvi, e che spesso erano rimasti per ore ed ore, prima che il convoglio, sbuffando e arrancando, decidesse a muoversi.

Antioco, col piccolo tascapane a tracolla, cercava dove potersi arrampicare, ma già molti facevano grappolo alle porte. I vagoni destinati, una volta, al trasporto del bestiame, traboccavano di gente ammassata alla meglio. Era andato su e giù, senza riuscire a salire. Vide una piccola mano bianca fargli cenno, come se lo chiamasse. La piccola suora gli faceva cenno di avvicinarsi. Si rivolgeva agli altri: "E' mio fratello, non posso partire senza lui. Per amore di Dio, un centimetro ognuno, e ci sarà posto anche per lui. Vi prego, fratelli."

Antioco riuscì ad arrampicarsi sul carro merci, e si trovò tra le braccia della giovane suora, quasi una bambina, che gli sussurrò all'orecchio: "Come ti chiami?" Le disse mormorando: "Antioco, sorella, e tu?" "Berenice."

Si tennero per mano, guardandosi affettuosamente negli occhi, di tanto in tanto. Intorno fiorivano i commenti della gente. Incontrarsi in quel modo, in quelle circostante, fratello e sorella. Un vero miracolo. Una donna corpulenta dal volto pensoso, disse che bisognava ringraziare Dio, la Vergine Santa, bisognava recitare un rosario. Lo avrebbe iniziato lei, al momento opportuno. In un angolo del vagone erano seduti, stanchissimi, alcuni malandati vecchietti, con barbe incolte, di colore incerto, che sembravano sporche, occhi infossati e con qualche dente che aveva disertato la bocca tremolante. Guardavano la scena tra il compiaciuto e lo scettico, con la tipica malizia dei molto anziani.

"Certo" –disse uno di loro- "quel giovane ha avuto culo a ritrovare la sorella."

Il vicino si raschiò la gola.

"Preferisco quello della ragazza."

"Ma Gaetà, é una suora."

"Si, ma sempre culo é."

E scoppiarono a ridere.

Il convoglio ebbe come un sussulto, un urtarsi e riurtarsi di vagoni mal frenati. Poi s'udì un forte getto di vapore, e il treno cominciò a muoversi, lentissimamente, con sbuffi asmatici, che sembrava dovessero esaurirsi da un momento all'altro.

Antioco prese la ragazza per mano.

"Vieni, sorella, mettiamoci in quell'angolo, dove non giunge fumo e carbone."

Sedettero, stanchissimi, sul pavimento, poggiando la schiena sul legno della parete.

Si misero a parlottare, a bassa voce, per non farsi sentire dai vicini.

"Di dove sei, Antioco?"

"Di Stazzera."

"Siamo quasi paesani, io sono di Marra. Conosci i Reale?"

"No, perché io al paese ci sono stato poco. Ho studiato in città, ospiti di alcuni zii, poi sono venuto qui, all'Università, ma mi hanno chiamato subito in servizio militare. Dopo tutto il caos dei giorni scorsi, ho gettato la divisa, ho rimediato questi pochi stracci, e ho deciso di andare a casa, se non sarò catturato prima."

"Sei militare?"

"Si, sono, anzi ero, ufficiale, adesso non so come chiamarmi, sbandato, disertore... Comunque, disgraziato."

"Non dire così, siamo vivi, abbastanza in salute, e stiamo facendo ritorno a casa, dai nostri affetti. Molti non potranno farlo, mai più. Altri sono infermi."

"Hai ragione, sorella, ma sono avvilito, scoraggiato. E tu, Berenice, come mai, così giovane e bella, hai preso i voti? Come sei riuscita ad essere qui, da sola? Voi suore, mi sembra di sapere, dovreste sempre essere almeno due insieme."

"E' una lunga storia."

"Perché non me la racconti?"

"Ti annoierei."

"Prova a dirmela, se mi annoierò te lo dirò."

"Vedi, io sono ancora novizia, e per questo sono riuscita ad avere il permesso di andare a trovare i miei. Ho anche promesso che, al ritorno, avrei portato un po' di provviste per le consorelle. L'aver scelto il velo é un altro discorso. Sono andata a studiare dalle suore, e senza accorgermene mi é sembrata una cosa naturale scegliere di restare in quell'ambiente. L'anno scorso ho conseguito il diploma di maestra elementare, ed ho deciso di insegnare in una scuola tenuta dalle suore."

"Sei consapevole di cosa lasci, fuori del convento?"

"Credo di si."

"Nessun ripensamento?"

"Ho ancora tempo per prendere i voti definitivi, ma non ho motivo di credere che muterò parere."

Il treno procedeva a velocità ridotta, le ruote ritmavano le giunture dei binari, monotonamente, la tensione stava cedendo alla stanchezza che, quasi inavvertitamente, prendeva il sopravvento. A Berenice andavano chiudendosi gli occhi. Ciondolò alquanto, senza accorgersene appoggiò la testa sull'omero di Antioco, s'assopì. Il giovane la cinse col braccio, per le sostenerle il capo, e le sfiorò la guancia con una lieve carezza. Cominciavano a cadere le prime ombre dell'ancor tiepido autunno.

Il convoglio rallentava, le ruote stridevano serrate dai freni, i respingenti dei vagoni urtavano tra loro. Si erano arrestati in aperta campagna, col cielo che diveniva sempre più scuro, le prime stelle apparivano incerte.

Berenice si mosse, cercò di stendersi sull'assito, si coricò su un fianco, alla meno peggio, adagiò la testa sulle gambe del compagno di viaggio, con la mano allargò il soggolo che le copriva il collo e circondava il viso, lo spostò verso la nuca lasciando apparire corte ciocche biondo oro. Antioco prese alcuni capelli tra le dita, erano sottilissimi, come filamenti di seta, con riflessi di platino che nel buio quasi non si distinguevano, e li tenne così, a lungo, strofinandoli delicatamente, con uno strano senso di tenerezza. Passò, timidamente, un dito sul sottile e delicato arco delle sopracciglia dorate, intorno agli occhi chiusi, più lieve d'una piuma, lungo la gota, sulle piccole labbra vermiglie, sul collo d'avorio. Si fermò a percepire il pulsare del sangue nelle piccole vene azzurre, l'accarezzò con la palma aperta. Le prese una mano e la tenne tra le sue.

Il convoglio si rimise in moto, il vagone riprese a dondolare, cullando quella gente speranzosa che cercava di dormire, per non pensare, per non avvertire la lentezza del trascorrere del tempo.

Antioco non vedeva quasi più la ragazza, ma ne sentiva il tepore, il dolce peso del capo, i piccoli involontari moti della mano che accoglieva tra le sue dita. Rimasero così alquanto a lungo, e anche lui, di quando in quando, s'assopiva per brevi periodi.

Berenice si mosse, si mise seduta, rimase intimorita dal buio che la circondava. Riordinò le idee. Avvertì la vicinanza di Antioco, che riusciva a malapena a intravedere nell'oscurità. Lui, già abituato alla notte, le afferrò la mano e sentì contraccambiare la sua stretta, con riconoscenza.

"Ho dormito molto, Antioco?"

"Un po'."

"Ero stanca, molto stanca. Ti ho dato disturbo?"

"No, sorella carissima, mi hai fatto compagnia. Dimmi, posso chiamarti Berenice?"

"Certo, é il mio nome. Chissà dove saremo."

"Non credo che sia stata fatta molta strada."

"Quanto ci metteremo, di questo passo?"

"Per arrivare a casa? Molto più di un giorno, se la strada ferrata é intera."

"Cosa hai fatto, mentre dormivo?"

"Un po' ho riposato anche io, ed ho pensato."

"Cosa?"

"Mille pensieri, coincidenze, speranze."

Aveva completamente tolto il soggolo e riposto nella grossa sacca che portava con se. S'era seduta accanto a lui, e ora ne scorgeva i tratti del volto.

"Che pensi che sta male se rimango così? Mi dà fastidio sentirmi fasciata la testa. Tu, però, dimmi qualcuno dei tuoi pensieri."

"Non credo che qualcuno abbia a ridire se resti così. Penso che anche la lunga veste ti sia di impaccio. Non hai altro da indossare?"

Non rispose, anzi gli fece una domanda.

"Allora, cosa hai pensato?"

"Soprattutto alla tua affettuosa premura. Mi hai salvato, chiamandomi, facendomi passare per tuo fratello."

"Siamo tutti fratelli. No?"

"Ho pensato ai nostri nomi, ho cercato di ricordare le lezioni di Don Alceste, l'insegnante di Religione che, soprattutto, ci parlava della Storia sacra, dei luoghi, dei personaggi. Berenice, figlia di Tolomeo Filadelfo, che si tagliò la lunga e bellissima treccia e la depose nel tempio di Canopo, in voto perché il suo sposo fosse tornato sano e salvo dalla guerra di Siria. La chioma di Berenice, cantata da Callimaco, da Catullo, da Foscolo, che rifulge nel cielo, specie in primavera ed estate, poco lungi dalla Vergine, ad oriente dell'Orsa Maggiore, ad eterno ricordo di un generoso sacrificio per amore dello sposo. E lo sposo di Berenice era Antioco.

La donna l'aveva ascoltato attentamente, in assoluto silenzio, Ad un tratto s'era ancor più avvicinata a lui e gli s'era messa sottobraccio.

"E' bello quello che hai pensato, Antioco. Anch'io ho sacrificato la mia treccia al mio sposo, a Gesù."

E gli carezzò la mano.

Il treno s'era fermato nuovamente, sempre lontano dalle stazioni. Due ferrovieri camminavano lungo il convoglio, informando che la sosta sarebbe durata un'ora e che tre minuti prima di ripartire il macchinista avrebbe avvisato con tre lunghi fischi.

Molti cominciarono a scendere dal vagone.

Berenice sussurrò qualcosa all'orecchio di Antioco. Il tono della voce esprimeva disagio, ma il buio non ne rivelava il rossore del volto.

"Scendiamo anche noi, Berenice. Siamo in campagna, ci saranno delle siepi, ci sono io a garantirti da qualsiasi importunità o indiscrezione."

Quando furono sulla massicciata, scorsero una lunga fila di arbusti che, in basso, costeggiava un campo arato. Vi si avviarono guardandosi intorno. Non c'era nessuno.

Antioco si fermò e diede le spalle agli arbusti.

"Sembra fatta apposta, bambina, Ti aspetto qui."

Mentre la ragazza, timorosa, si appartava dietro la fratta, Antioco ne profittò per analoga necessità.

Dopo poco, Berenice riapparve, e s'aggrappò al braccio dell'uomo.

"Scusami, ma non potevo farne a meno."

Lui le sorrise e le sfiorò il volto col dorso della mano. Le parlò con tono scherzoso.

"A questo non può sottrarsi neppure il Papa, ed anche se le Scritture non ne parlano, ovviamente, era in uso anche ai tempi dei Patriarchi. A un'altra cosa non potevano esimersi. Io ho un po' fame, e nel tascapane ho da mangiare. Tu?"

"Anch'io ho appetito, e anche nella mia borsa ci sono delle provviste."

"Allora, torniamo su."

L'aiutò a salire sul vagone, prendendola per la cintola e sollevandola. Un corpicino ben fatto, sodo e scattante.

Profittando che c'era poca gente, tornarono nel loro angolo. Antioco disse che avrebbero cominciato dalle sue riserve. Aprì il tascapane ne estrasse due belle pagnotte, del salame, del formaggio, un coltello a serramanico, due mele, una borraccia.

"Non ho bicchiere, Berenice, dovrai bere direttamente dalla borraccia, dove berrà anche Antioco."

"Se avvicinerai le tue labbra al recipiente, dopo di me, leggerai i miei pensieri, ed io sono molto riservata. Perciò, bevi prima tu."

Mangiarono quasi allegramente, in un breve intermezzo spensierato, e bevvero il vinello frizzante di Antioco. La bottiglia dell'acqua rimase al suo posto.

"Allora, Berenice, hai appreso il mio pensiero?"

"Si."

"Perdonami, non potevo farne a meno."

"E tu, hai conosciuto il mio?"

"Si."

"Meno male che siamo al buio, così non vedi il mio volto. Sono piena di vergogna."

"Per aver mangiato con me, con un uomo?"

"Mettiamola così, ma non sono con un uomo, sono con te."

"Cambia?"

"Dev'essere il vinello. Non sono abituata a berne. Ma era ottimo, invitante, tentatore, stuzzicante, gradevole. E io sono caduta in tentazione. Ora sono un po' euforica, come mai so stata. Fuori del comune, in questa tragedia che ci circonda."

"Serve a sollevarci un po' lo spirito."

"Sono un po' ebbra, e anche assonnata. Non dovevo bere tanto."

"Non hai bevuto molto. Non pensarci, riposerai meglio. Solo che dovrai contentarti del ruvido pavimento di legno. Mettiti giù, cerca di riposare."

Tolse dal tascapane un giubbotto morbido, lo piegò e lo mise giù, a modo di cuscino.

"Poggia il capo su questo, starai meglio."

Berenice si distese sull'assito, e mise il capo sul giubbotto.

"Grazie, é soffice. Cercherò di dormire. Ho sonno. Il vinello fa il suo effetto."

Si girò su un fianco. Lui le si coricò dietro, accogliendola sulle ginocchia, così raggomitolata, come in un rifugio che la proteggesse. L'abbracciò teneramente, e dopo poco ne avvertì il respiro pesante e regolare. Muovendo la mano, aveva trovato un passaggio nella pettina della veste e vi s'era infilato incontrando la leggera cotonina della camiciola che copriva il piccolo seno sodo, perfettamente modellato, col capezzolino che s'inturgidì non appena lo sfiorò. Berenice si mosse un poco, assestandoglisi meglio nella nicchia del grembo.

Il treno riprese il suo cammino, con lentezza esasperante. Il dondolio del vagone cadenzava ritmicamente la pressione delle natiche di Berenice sulle ginocchia di Antioco che avvertiva il progredire d'una insistente e piacevole eccitazione. Avrebbe dovuto scostarsi da Berenice, ed invece s'accorse di avvicinarla ancor più a sé, stringendole il seno. Il lieve muoversi della ragazza aumentò tormentosamente la sua erezione.

Accanto alla testa di Berenice era stato deposto un fagottello che nascondeva il volto paffuto e sereno d'un piccolo bambino, di pochi mesi, beatamente addormentato dopo aver poppato al seno della madre. I genitori erano sdraiati, riparati da una coperta che rivelava un singolare intreccio di corpi. La donna poggiata sul fianco destro, di fronte al marito, dava la schiena ad Antioco, e si capiva che la sua gamba sinistra era sul fianco dell'uomo mentre la destra giaceva sotto di lui. Muoveva il bacino, lentamente, mormorando qualcosa di incomprensibile, forse era solo un flebile gemito. Il moto andava sempre più incalzando e il bisbiglio diveniva parola, Giusé... haaaa... Giusé... , terminando con un profondo sospiro d'appagamento. Restarono così, mentre Antioco aveva prepotentemente ghermito la tettina di Berenice, e, pur con l'odiosa barriera dei vestiti, spingeva prepotentemente il suo sesso tra le virginee natiche della fanciulla.

Il respiro di Berenice s'interrompeva ogni tanto, per riprendere quasi agitato, come se, avida d'aria, volesse inspirarne il più possibile. Forse non se ne rendeva conto, ma reagiva alla pressione d'Antioco, protendendo istintivamente il fondo della schiena, portandosi le mani tra le gambe.

Il giovane, turbato, eccitato e infiammato dai sospiri orgasmici della donna di Giuseppe, stava pensando di alzarsi. In quel momento, Berenice si girò verso di lui e, seguitando a dormire pesantemente, l'abbracciò, con la bocca accanto al suo volto, quasi a sfiorargli le labbra. Tanto vicina che gli bastò sporgere la lingua per lambirla e gustarne la saliva.

Cominciava ad albeggiare, Antioco, improvvisamente era stato vinto dal sonno. Era da molto che non dormiva. Ma il riposo non durò a lungo. Si destò di soprassalto. Berenice era sveglia, seduta al suo fianco, e lo guardava in un modo che gli apparve strano.

"Buon giorno, sorellina, qualcosa che non va?"

Lei strinse le labbra e annuì piano con la testa contornata di corti riccioli d'oro.

"Forse si. Mi sono svegliata che ero quasi abbracciata a te."

"Allora?"

"Non scherzare, Antioco, ti sembra bello che una suora dorma stretta a uno sconosciuto che ha incontrato solo poche ore prima?"

"Perché, doveva conoscerlo da tempo?"

"Non scherzare, é una cosa seria."

"Dammi la mano, piccola Berenice, ed esaminiamo gli eventi. Ieri, alla stazione, hai visto un giovane, smarrito, che invano cercava di salire sul treno, mosso da un desiderio, da una necessità che tu ben conoscevi e che ti aveva spinta a partire. Ti sei commossa, hai aiutato un fratello e, forse involontariamente, hai cercato una protezione. Di questi tempi non é certo il vestito da suora che ti soccorre. Non é un caso, credo, che siamo quasi compaesani, abbiamo sentito una certa fiducia che ci ha attratto, fatti incontrare. Esausta, affaticata, emozionata, sei riuscita a dormire proprio perché ti sentivi sicura, perché avevi ritenuto, e giustamente, di aver trovato un custode, e a quel custode ti sei istintivamente affidata, aggrappata. Dimmi perché vogliamo trovare della sconvenienza in ciò."

"Perché sono una suora."

"Intanto, precisiamo che non lo sei ancora, hai tempo un anno per prendere meglio coscienza della tua vocazione. Se non ricordo male é quanto esposto nel Diritto canonico. Questi eventi servono anche per operare le scelte con perfetta consapevolezza. Facciamo un esempio. Sei mai stata fidanzata? Hai mai avuto simpatia per un ragazzo?"

"Cosa c'entra tutto questo. Comunque, ho studiato dalle suore, e lì ragazzi non ci sono."

"Quindi rinunci a qualcosa che non conosci."

"Discorsi senza senso, caro mio. Io ho scelto d'essere la sposa di Cristo, dedicarmi a lui, e solamente a lui, per tutta la vita, cercando di fare del mio meglio per insegnare e testimoniare la sua parola."

"Scusa, ma una madre di famiglia non può insegnare e testimoniare la parola di Cristo, oltre ad essere brava sposa di un uomo e ottima madre di figli che aumentano il popolo di Dio? E credi proprio che la vita di una suora sia più pesante e sacrificata di quella di una madre? Non c'é il pericolo che sopravvalutiate la rinuncia di qualcosa che, in fondo, ignorate? Pensa a tua madre, ai suoi rapporti col marito, coi figli, col mondo, al suo lavoro, ai suoi sacrifici."

"Stai sviando l'argomento. Io voglio dire solo che é sconveniente che io abbia dormito abbracciata a te."

"Si può ravvisare malizia in tutto, quando si vuole, o quando si é portati a pensare in un certo modo."

"Non penso, ma constato, e concludo."

"Cosa hai constatato, cosa concludi?"

"Non é bene che te ne parli... Anzi, no, te ne accennerò perché nella tua onestà di giudizio tu comprenda se una mia certa confusione sia infondata o meno. Ho sognato qualcosa, risparmiami i particolari, che mi ha turbata, una vicinanza eccessiva, troppo confidenziale, ed ho conosciuto sensazioni che non si addicono a chi rinuncia alla vita secolare, alla mondanità. Non deve accadermi, mai più. Lo ripeto sempre, nelle mie preghiere, non indurmi in tentazione."

"E si prosegue, liberami dal male, quindi ci si riferisce alla tentazione del male, all'opera del maligno, non a desideri naturali e legittimi, come quello di nutrirsi, di vestirsi, d'amore."

"Mi sembra un modo semplicistico di vedere le cose."

"Semplice, non semplicistico. Senza infingimenti, senza distorsioni, senza riserve mentali. Dare alle cose il proprio nome. Riconoscere serenamente, pulitamente, i propri sentimenti."

"Dimentichi che sono una novizia e devo sapermi controllare."

"Non credo che dalle novizie si pretenda che considerino male ciò che male non é. Mi sembra, però, che si tenda a ravvisare della malizia anche nelle cose più ingenue e naturali."

"E' naturale che una suora dorma abbracciata ad un uomo?"

"E' naturale che una ragazza sola, impaurita, in un drammatico viaggio tra tanta gente sconosciuta, si affidi a un giovane in cui sente di poter avere fiducia e cerchi rifugio accanto a lui?"

"Va bene, mettiamola così. Ma non credo che la gente non sorrida vedendo una vestita da suora troppo vicina a un ragazzo."

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